Giancarlo Sangregorio: scultore milanese.
Siamo a Cocquo, sopra Sesto Calende, in provincia di Varese. Nel 1959 Giancarlo Sangregorio acquista quattro ettari di terreno e si fa edificare, seguendone i lavori, la sua dimora-laboratorio-studio e per uno dei due edifici usa un progetto dell’architetto finlandese Alvar Aalto.
Il luogo scelto è indicativo della sua personalità molto poco metropolitana. Qui, immerso nella natura, circondato da pietra e legno, materiali vivi parlanti lingue così diverse, questo raffinato artista milanese ha scelto di indagarli senza sosta e di farli colloquiare tra loro con la forza delle sue mani, usando tutte le nuance naturali dei loro colori come in un dipinto. Il buen retiro è situato nel cuore dell’anfiteatro morenico del Verbano; il borgo è posto al capo meridionale del Lago, nel punto in cui il Ticino esce dal Lago Maggiore per riprendere il suo cammino verso il Po. L’area si presenta circondata da colline ed immersa nel verde del Parco del Ticino.
Giancarlo nasce a Milano il 20 aprile del 1925 da una famiglia agiata; la madre era originaria di Gallarate, il padre di Milano. Abitavano tutti in un palazzo di proprietà in corso Monforte, distrutto dai bombardamenti del ’43. Sfollati, si rifugiarono a Druogno, in provincia di Verbania, nella casa di famiglia, il luogo del cuore, in cui da adulto acquisterà una casa oggi divenuta Centro Studi.
Terminato il liceo classico, studia all’Accademia di Brera frequentando i corsi di scultura di Marino Marini, ma prima di approdare qui aveva già imparato il mestiere da autodidatta direttamente nelle cave della Val d’Ossola. Qui, dove tutto è iniziato, ha voluto chiudere il cerchio della sua vita donando alla comunità l’opera Uniti da iroko insieme ad altre sei. Il luogo è magico, in Val Vigezzo, antico luogo di transito, accanto alle montagne che l’artista ha a lungo percorso e che sono state per lui fonte di ispirazione.
Così scrive Sangregorio: ”Mi è piaciuta l’idea di denominare l’insieme di opere «Le sculture nel giardino di montagna», perché mi allontana da una certa idea di arte come qualcosa di stabilito e destinato a determinate collocazioni. Tra eriche, rododendri, licheni, pini mughi e arbusti montani, le otto opere si offrono come parte di un tutto dove la presenza dell’uomo deve essere discreta e rispettosa perché posta al cospetto della maestosa regalità della natura. Alcuni anni fa scrissi un testo, più volte pubblicato su vari cataloghi, dove mi ponevo una domanda:
«Dove sta di casa la scultura?» Oggi con queste opere ribadisco quanto già allora intuivo «…ci capiterà di incontrarla proprio in luoghi inattesi. Sarà sempre rivelatrice di una verità legata strettamente alla vita e alla realtà di chi l’ha creata. Realista solo talvolta nella forma, immancabilmente lo diventa nella sua carica di significato. Riuscirà a riemettere luce interiore, occuperà lo spazio con sicurezza non ostentata, provocherà una repentina o prolungata vertigine temporale».”
La fondazione Sangregorio nasce per volontà dell’artista nel 2011, un paio d’anni prima di lasciare il corpo, perché desiderava che la sua opera fosse divulgata e sostenuta. La presidente e i membri del consiglio da lui stesso scelti curano l’apertura al pubblico della sua dimora trasformata in una casa museo.
La fortuna critica di Giancarlo Sangregorio è stata sin dai suoi esordi rilevante, i più importanti critici d’arte si sono occupati di lui dedicandogli saggi e monografie; qui di seguito ne cito solo alcuni: Raffaele Monti, Gillo Dorfles, Giuseppe Marchiori, Luigi Carluccio, Robert Th. Stoll, Luciano Caramel, Raffaele De Grada, Marco Rosci, Flaminio Gualdoni, Martina Corgnati, Elena Pontiggia.
Il suo primo studio lo condivide con l’ex compagno di studi Alik Cavaliere in viale Cassiodoro a Milano, in seguito ne aprirà uno solo per sé in via Larga che chiuse negli anni ’90.
Tra gli anni ’60 e ’90 ne ebbe uno anche a Parigi. L’artista è molto conosciuto a livello internazionale soprattutto in Germania.
Passeggiando per Milano le sue opere s’incontrano un po’ ovunque, alcune in luoghi nascosti, altre sotto gli occhi di tutti. In via Clerici, ad esempio, davanti al Palazzo omonimo è esposta l’opera in marmo e lastre di cristallo Itinerario nel Vuoto; lungo via Forze Armate è possibile ammirare Tempesta e Antimito, l’unico monumento pubblico dedicato ai caduti completamente informale presente a Milano.
Suo grande estimatore e collezionista è l’architetto Piero Castellini, nipote del famoso Piero Portaluppi, il quale si occupò del rifacimento della vecchia darsena di Porto Rotondo, in Sardegna, commissionato dai conti Niccolò e Luigi Donà dalle Rose, dove nel 1967 anche Sangregorio vi contribuì realizzando tutte le parti in pietra basaltica e granitica, incluse le rifiniture dei cordoli: è la cosiddetta Scultura della balconata che delimita un lato della discesa a mare, e in quest’angolo, l’apparente susseguirsi di massi in granito casualmente accostati, mezze colonne, blocchi rettangolari, travi che ricordano i dolmen nuragici, sono in realtà una sfilata di simboli del divenire architettonico dell’uomo. Oggi la vecchia darsena dei Pescatori di Porto Rotondo, divenuta piazza Sangregorio, si presenta come luogo di arte e cultura contemporanee.
Per sapere come e quando visitarla, Vi prego di contattarmi a questo form contatti.